La nostra amicizia con Franco Ruta è stata purtroppo breve. Abbiamo conosciuto Franco e Pierpaolo Ruta il 22 luglio 2014. Ci conforta sapere che la breve amicizia con noi è servita a ridestare l’innamoramento di Franco per i gelsomini.
Abbiamo raccontato in tante occasioni le circostanze del nostro primo incontro, legato al progetto di riscoprire insieme il famoso cioccolato al gelsomino del granduca di Toscana.
Da diversi mesi ragionavamo della necessità di trovare un interlocutore affidabile e aperto alle sperimentazioni con cui provare a produrre il cioccolato al gelsomino. Si trattava di mettere i fiori profumati a contatto con la granella di cacao e cambiarli ogni giorno per tanti giorni, fino a far odorare di gelsomino il cacao. Poi con quel cacao fare il cioccolato. Ma lavorando a bassa temperatura, per non alterare il profumo dei fiori.
La prima telefonata fu con Pierpaolo. Da quel momento abbiamo iniziato a conoscere e a confrontarci con un “metodo” di lavoro diverso da quello che avevamo conosciuto fino a quel momento. Durante quella prima telefonata il tentativo di trasmettere il fascino dell’antica ricetta segreta si specchiava in altrettanto entusiasmo dello sconosciuto interlocutore. Dopo neanche un minuto già Pierpaolo propose: “Se mi dà il suo indirizzo, le invio la granella di cacao. Così facciamo la prova”.
Da allora ogni volta che avevamo un incontro, una telefonata, uno scambio di email con uno dei due Ruta provavamo la stessa sensazione di sollievo, di incoraggiamento.
Da casa nostra alla dolceria Bonajuto, in auto, ci impieghiamo due ore. Ogni volta in quelle due ore ci prepariamo all’incontro di lavoro pensando a ciò che dobbiamo dirci, a cosa dobbiamo discutere, a cosa proporre e cose del genere. Le prime volte, più pensavamo e più cresceva una sorta di ansia: dovevamo apparire al tempo stesso seri ma gentili, affidabili ma sognatori quanto basta, collaborativi ma intransigenti. Poi arrivavamo in dolceria, incontravamo Franco, ci offriva un caffè al bar, ci parlava dei gelsomini vicino alla chiesa di san Giorgio che lui da ragazzo raccoglieva per fare le sponse, ci rassicurava e ci tranquillizzava con il suo semplice modo pacato e ironico. Il modo con cui faceva e trattava anche le questioni più serie. Finiva che le due ore del viaggio di ritorno le passavamo ridendo, raccontandoci gli aneddoti appena sentiti, ripetendoci increduli le frasi di Franco. Abbiamo solo un rimpianto: non esserci mai del tutto “sciolti” con Franco, non aver superato la naturale deferenza per far spazio a sincere manifestazioni di affetto.
Penso che chi ha conosciuto Franco Ruta debba porsi l’obbiettivo di imparare la sua lezione e di lavorare col suo “metodo”. Esistevano delle peculiari caratteristiche della persona, che ne facevano un uomo fuori dal comune, ma non tutte queste caratteristiche si possono imparare. Di Franco noi non potremo imparare l’intuito, l’empatia, la capacità di comunicare e altre doti innate che Franco aveva. Se sono doti innate non c’è che fare, tanto meglio per chi le ha.
Ciò che possiamo fare è tentare di “decodificare” il metodo di lavoro di Franco Ruta, cercando, attraverso le esperienze di tanti, di ricostruirne il mosaico. I suoi collaboratori, i dipendenti, i familiari e i tanti che, come me, lo hanno incontrato un po’ di striscio possono tentare di mettere insieme le loro personali tessere.
Vogliamo condividere in questa occasione alcune di queste tessere, quelle che sono rimaste tra le nostre mani.
Abbiamo imparato da Franco una frase, che sin dai primi incontri con lui ci accompagna nel nostro lavoro artigianale e di sperimentatore: “Il segreto è non avere segreti”. Ci ponevamo il problema di come evitare che altri usassero la ricetta del cioccolato al gelsomino. Non ci rendevamo conto che certe speciali lavorazioni artigianali sono tutelate nella loro unicità proprio dalla laboriosità e dalla complessità. Chi vuole copiare deve saperlo fare.
Una cosa che ci ha sempre colpito di Franco è la capacità di mettere gli altri in relazione. Senza il timore di perdere l’esclusiva nei rapporti personali e di lavoro. Parlare con lui era un continuo rimando alle esperienze di altri, con altri. L’esperienza da noi avuta fino a quel momento andava nella direzione opposta. Fino ad allora pensavamo di vivere in un mondo di pazzi dove ciascuno pensa: “se ho un amico devo spremerlo fino a che mi serve e non devo condividerlo con nessuno”.
Questa capacità di mettere gli altri in relazione è un aspetto di una più generale capacità di vedere dei collegamenti tra cose che non hanno nulla a che fare tra loro.
E’ come quando l’uomo ha iniziato a unire con delle linee immaginarie i corpi celesti che rischiaravano la notte. Sono nati così disegni di animali, di eroi, di personaggi mitologici: le costellazioni.
Uno sguardo disincantato e razionale ci dice che i corpi celesti che formano una costellazione, pur apparendo vicini, non hanno nulla in comune tra loro. Ma la costruzione di un disegno che parta dalla nostra prospettiva non è inutile come potrebbe apparire. Anche gli astronomi moderni usano le costellazioni per definire la posizione delle stelle.
Filippo e Agata Figuera